Le ipotesi dei complotti non muoiono mai
Riceviamo e volentieri pubblichiamo il commento di Silvio Hénin circa all’articolo pubblicato da Walter Veltroni sul Corriere della Sera del 12 gennaio e dedicato a Mario Tchou, brillante direttore del Laboratorio Ricerche Elettroniche di Olivetti prematuramente scomparso nel 1961.
Leggo l’articolo di Walter Veltroni su Mario Tchou e la vicenda Olivetti (Corriere della Sera, 12 gennaio 2020). Un ottimo lavoro, ricco di notizie inedite, vivo e utile ad una platea che spesso tende a ignorare la storia, anche quella recente. Purtroppo, ancora una volta si lascia spazio a assurde ipotesi complottiste, le stesse che furono già proposte, sette anni fa, nel docufilm su Adriano Olivetti prodotto dalla Rai. In quel caso si suggeriva l’omicidio di Adriano per mano della CIA, questa volta si fa intendere che anche la morte di Mario Tchou, il principale artefice dell’impresa di Olivetti, non sia stata accidentale.
Non posso non ribadire che il fallimento commerciale della avventura Olivetti nel settore dei grandi calcolatori elettronici, che portò alla vendita della Divisione elettronica alla General Electric, non fu dovuto a presunti complotti omicidi orditi dalla CIA o dalla IBM e non vi è nessuna prova che la grande multinazionale americana fosse particolarmente preoccupata dai risultati di Olivetti, per quanto innovativi essi fossero. L’evento fu, molto più semplicemente, provocato da molteplici cause economiche e politiche, tutte italiane. Per citare le più importanti, la mancanza di un mercato nazionale o europeo grande e ricettivo e l’impossibilità di entrare potentemente in quello statunitense, l’arretratezza dell’industria italiana e la scarsa sensibilità culturale verso le nuove tecnologie, la mancanza di assistenza finanziaria da parte dello Stato e delle banche. Non dimentichiamo, infine, che molte aziende italiane e anche molti enti pubblici, sceglievano di acquistare IBM piuttosto che marchi europei o nazionali.
È anche utile ricordare che lo stesso avvenne in tutti gli altri Paesi europei: nel Regno Unito vi erano, negli anni 1950, ben nove aziende di informatica, che sparirono in un paio di decenni o furono acquistate dai giapponesi. Cosi avvenne anche in Francia e in Germania. Fallimentari furono pure molti piani nazionali e comunitari tesi a sviluppare un’industria informatica locale. Negli Stati Uniti, per contro, vi era un mercato molto ricettivo e vi era una generoso supporto governativo. Non però un finanziamento a pioggia e a fondo perduto, come in Europa, bensì un poderoso acquisto di calcolatori per uso militare, che copriva largamente le spese di ricerca e sviluppo sostenute dalle aziende fornitrici, permettendo a queste di entrare nel mercato civile con maggiore sicurezza. Infine, anche negli Stati Uniti molte delle prime aziende di informatica furono destinate all’oblio di fronte all’avanzata di IBM, si parlava infatti di ‘IBM e i sette nani’ a indicare i suoi piccoli concorrenti americani (Digital Equipment, CDC, General Electric, RCA, Univac, Burroughs e Honeywell), che poi si ridussero a cinque (IBM and the BUNCH, IBM e il ‘mazzetto’, dalle iniziali dei rimanenti: Burroughs, Univac, NCR, CDC e Honeywell). Anche questi marchi sparirono negli anni 1980-90.
Silvio Hénin